“D’una città non godi le sette o le settantasette meraviglie, ma la risposta che dà a una tua domanda”.
Mi sono imbattuta in questa frase de “Le Città invisibili” di Italo Calvino e quasi come un inconsapevole oracolo ha dato una risposta a una domanda che mi frulla in testa da un po’.
Chi più, chi meno questa estate si è concesso il tempo di girovagare, ma anche di vedere con occhi nuovi luoghi già conosciuti. È questo il primo effetto del tempo che si dilata.
Ho visitato luoghi degradati che mi hanno riempito il cuore, spiagge affollate da cui scappare, borghi dimenticati e suggestivi (siete mai stati a Toiano o Montebicchieri? Vi suggerisco una piccola gita fuori porta, magari a piedi. Ne vale dal pena!), città perfette e claustrofobiche, montagne verdi che regalano quiete, capitali ferite e rinate a nuovo splendore (ogni riferimento a Berlino, non è puramente casuale).
Mi ricordo ogni luogo più per l’emozione che ha suscitato in me, che per la sua stessa essenza.
Ed ecco che Italo Calvino mi fornisce una risposta: di una città non ricordo le sue meraviglie, ma la risposta a una mia domanda. … e se la domanda non fosse di un singolo, ma collettiva? Di cosa abbiamo bisogno come persone? Cosa chiediamo agli spazi?
Non sono né sociologa, né architetto e probabilmente ho ben poche competenze per azzardare una risposta. Ma ci provo ugualmente: abbiamo bisogno di socialità, di luoghi in cui incontrarsi, in cui dare vita a idee e progetti condivisi, in cui semplicemente andare per trascorrere del tempo o in cui trovare una risposta ai propri interessi.
C’è bisogno di spazi per dare spazio alle idee e ai rapporti umani. Sembra che tali luoghi manchino, eppure ci sono: abbandonati, anonimi, sottoutilizzati.
Nei giorni scorsi ho letto su La Repubblica un articolo del preside dell’ITT Marco Polo di Firenze, in proposito: proponeva di aprire le porte della scuola fuori dagli orari di lezione, ai ragazzi per attività extrascolastiche, ma anche alla città.
Qualche timido esperimento c’è stato e c’è anche nelle nostre zone, ma questa proposta ha un respiro più ampio, insinua l’idea di una gestione “popolare” degli edifici pubblici; insinua il dubbio che ci possa essere un modo diverso di vivere i luoghi, diventano un bene proprio da accudire e curare.
Non sono più le istituzioni a dover dare regole e proporre attività in spazi che non rispondono alle domande delle persone; acquista un peso crescente il senso civico di ciascuno di noi. Scusate se è poco.
Nel nostro territorio ci sono spazi di questo tipo? Alcuni circoli cercando di attualizzare una visione non molto lontana da queste e che era propria delle Case del Popolo della prima ora.
Ma credo che spazi pubblici da destinare ad usi collettivi non manchino. Soprattutto spazi, che pur ben utilizzati rimangono per molto tempo chiusi… me ne potrebbe venire in mente uno per ciascuno degli 11 campanili.