Keith Haring (o più comunemente noto nel circondario come l’aringa, a causa di alcune similitudini con l’animale) negli anni ’80 è stato uno dei maggiori esponenti del graffitismo.
Ma come si scopre un artista di tal calibro?
Nato Empoli nella zona di Serravalle, l’aringa è sempre stato un bravo giovine, fino a quando frequentando le scuole medie G. Vanghetti, conobbe un soggettone di nome Andreino Warhol che lo portò sulla cattiva strada. Vennero buttati fuori dall’aula dalla professoressa di musica per essersi tinti troppo i capelli, e Keith fece il suo primo murale sulla balconata del primo piano.
Qui sopra possiamo vedere un’opera del suo primo periodo “nero”. Gli giravano parecchio le scatole (non riusciva a cotonarsi il ciuffo a dovere) ed esprimeva il suo dolore con colori molto cupi, l’asino, simbolo della sua amata cittadina, è stato riempito di figure che esprimono dolore: uomini deformi, ossa, una televisione non funzionante, Batman, cagnolini scondinzolanti.
Da allora le forche si susseguirono giorno dopo giorno, e in ogni parte d’Italia sbucarono sue opere più o meno legali, perfino a Pisa, durante la classica visita pre-esame di maturità dove vige la tradizione di toccare i culi. L’aringa non si lasciò sfuggire l’occasione di imbrattare una bella chiesa con dei disegni a dir poco osceni, animali a due teste, altre televisioni (per le quali aveva una fissazione) e roba a caso. Spesso provarono anche ad arrestarlo, ma non si sa come, Andreino riusciva sempre a farlo uscire spacciando i suoi disegni come arte sopraffina, l’amico affermava: “Il mio compagno Keith l’aringa sarà secco rifinito e puzzerà come un dannato, ma le sue, son opere di pregio!” tanto che i suoi murales oggi sono molto richiesti e vengono strappati e venduti a millemilamilioni di euri.
Keith Haring detto l’aringa
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